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ALESSANDRO V, antipapa
di Armando Petrucci -
Enciclopedia dei Papi (2000)
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Alessandro V, antipapa
Pietro Filargis, detto Pietro di Candia, nacque intorno al 1340 a Kare, nella parte settentrionale di Meta, da poveri genitori di sangue greco, che egli non conobbe mai. Fu educato da un frate minore, che si prese cura di lui; nel 1357 entrò anch'egli nell'Ordine dei Minori, passando poi in Italia, al seguito del suo primo maestro. Una tradizione alquanto diffusa fino al secolo scorso volle fare di Pietro di Candia un italiano, dicendolo nato nel Piemonte, presso Novara, o nei dintorni di Pavia o in quelli di Bologna; inutile aggiungere che essa è priva di ogni fondamento.
Dall'Italia il Filargis passò in Inghilterra, a Oxford, ove ottenne il baccellierato, poi a Parigi, ove studiò per qualche anno. A Parigi nel 1380 compì la rituale lettura "super libros sententiarum" necessaria per ottenere il magistero e la ripeté a Pavia l'anno seguente. Questo commento alle sentenze del Filargis ebbe grande diffusione nell'Europa quattrocentesca, come prova il gran numero dei manoscritti che ce ne hanno tramandato il testo. Nella primavera del 1381 Pietro Filargis ottenne a Parigi la licenza di professore, sborsando una certa somma sottobanco. A Parigi egli rimase qualche anno, insegnando teologia in quella Università; quindi ritornò a Pavia, ove lo ritroviamo nel 1384 "professore in sacra pagina"; nulla prova che egli abbia insegnato all'Università di Pavia nel 1384-1385, come vogliono i più, però la cosa è probabile.
Pietro Filargis non si sarebbe più mosso dall'Italia, anzi, per essere precisi, dall'Italia settentrionale, sino alla morte. Quest'uomo, dalla cultura vasta e multiforme, dotto di greco (sua lingua nativa), educato nelle più grandi università estere del tempo, Parigi e Oxford, e perciò ricco di fermenti culturali nuovi per l'Italia, fu per quasi tre decenni una delle figure di maggior rilievo della vita intellettuale e politica della Lombardia contemporanea. In Pavia Pietro Filargis conobbe Gian Galeazzo Visconti, che allora tranquillamente ed oscuramente si contentava di dominare la sola città lombarda.
Il Visconti si avvicinò al Filargis, attratto dalla sua fama, che andava rapidamente diffondendosi fra gli umanisti italiani i quali amavano chiamarlo "padre delle lettere"; egli seppe vedere nel Filargis, sotto l'apparente aspetto del prelato dotto, mite e amante dei piaceri della tavola, l'uomo capace di condurre abilmente un negoziato e di imporre, con la persuasione del discorso e la forza degli argomenti, la propria opinione.
Il 6 maggio 1385 Gian Galeazzo, arrestato Bernabò suo zio, diveniva signore di Milano e di buona parte della Lombardia, iniziando la sua corsa all'egemonia. Il Filargis lo seguì nella progressiva ascesa. Con l'appoggio di Gian Galeazzo, infatti, Pietro di Candia fu creato il 5 ottobre 1386 vescovo di Piacenza, quindi, due anni dopo, il 23 gennaio 1388, vescovo di Vicenza, conquistata l'anno prima dal Visconti. Ma neppur lì egli doveva restare molto tempo; il 18 settembre 1389 passava, infatti, alla diocesi di Novara, per restarvi dodici anni. Pare che i suoi passaggi da una sede all'altra non abbiano fatto che seguire l'espandersi del dominio visconteo. Non è vero, però, che egli sia stato anche, come si volle, vescovo di Brescia e patriarca di Grado. Come vescovo di Novara, Pietro di Candia si legò di amicizia con l'umanista lombardo Uberto Decembrio, che gli rimase accanto, segretario ed amico, per molti anni. Fu anzi il Filargis a spingerlo allo studio del greco, al cui apprendimento più aspiravano gli umanisti del tempo. Neppure come vescovo di Novara, però, il Filargis si allontanò troppo dalla Lombardia. Pare anzi che la sua residenza nella città del Piemonte fosse piuttosto saltuaria, visto che nel 1391 egli risultava possessore a Pavia di due case.
Intanto i rapporti fra Gian Galeazzo e il Filargis si facevano sempre più stretti. Il Visconti nel 1392 gli affidò una parte di rilievo nella stipulazione della pace, detta di Genova, con Firenze e i suoi alleati. Nel settembre dello stesso anno il Filargis si recò con un'ambasciata nella grande città toscana ed è presumibile che la visita di questo dotto greco nella città, già avviata ad essere la capitale dell'Umanesimo, abbia avuto una certa risonanza nell'ambiente culturale fiorentino.
Ma Gian Galeazzo covava in seno una speranza più alta delle ambizioni territoriali: quella cioè di esser creato dall'imperatore duca o re dei suoi domini, in modo da staccarsi per sempre dalla tradizione comunale e medievale e di avere anche una solida garanzia giuridica per sé e per i discendenti. Tale rivoluzionaria, diremmo, "conquista diplomatica" fu in pratica opera di Pietro di Candia, con questo incarico partito nel 1394 alla volta di Praga, ove si sarebbe incontrato con l'imperatore Venceslao. Ivi il vescovo di Novara trovò un'ambasceria di Fiorentini, ma egli, superando ogni difficoltà, riuscì ad ottenere il 1° maggio 1395 il titolo di duca per il suo signore; e ciò malgrado l'accanita resistenza di molti grandi dell'Impero. Inoltre il Filargis ebbe per sé il titolo di principe e per il suo segretario Uberto Decembrio, che l'aveva seguito in Boemia, quello di conte. Il ritorno a Milano, effettuato nell'estate del 1396, fu un vero trionfo per l'abile negoziatore, il quale il 5 settembre sulla piazza di S. Ambrogio assistette alla cerimonia dell'investitura di Gian Galeazzo e pronunciò un ammiratissimo discorso.
Fra il 1398 e il 1399 Pietro Filargis svolse una notevole attività diplomatica e politica, negoziando fra l'altro il 1° maggio 1398 una tregua col signore di Mantova e un'altra con il doge di Venezia dieci giorni dopo e assistendo, il 31 marzo 1399, alla stipulazione dei patti per la cessione di Pisa. Egli fu anche presente alle nozze di Lucia Visconti con Filippo, figlio di Baldassare, langravio di Turingia. Pochi mesi prima di morire, il 17 maggio 1402, Gian Galeazzo ottenne la sua nomina ad arcivescovo di Milano; egli così avrebbe potuto averlo sempre accanto e lo avrebbe, prima o poi, condotto alla porpora. Ma la morte colse il grande Visconti il 2 settembre dello stesso anno; il neo- arcivescovo entrò a far parte, per disposizione testamentaria del defunto, del consiglio di reggenza del Ducato. Il grande scisma d'Occidente travagliava intanto la Chiesa da quasi venticinque anni, né pareva che fra i rappresentanti delle due obbedienze si dovesse giungere a un accordo. Pietro Filargis, benché molto attaccato alla Francia e assai benvoluto a Parigi, era rimasto fedele all'obbedienza di Roma, ed anche per ricompensarlo di questo, oltre che per la fama e l'influenza ormai universali acquistatesi in tanti anni di fervida attività, Innocenzo VII lo creò cardinale del titolo dei SS. Apostoli il 12 giugno 1405, affidandogli in autunno l'incarico di legato nell'Italia settentrionale. Così Pietro Filargis, fin allora attratto ed occupato più dai problemi della politica italiana che da quelli spirituali della Chiesa, libero dagli incarichi diplomatici che Gian Galeazzo era solito affidargli, dedicò da quel momento le forze del suo intelletto e il peso della sua influenza alla risoluzione dello scisma.
Dopo tanti anni di divisione, si andava facendo strada e fra i cardinali e fra i teologi, sia in Italia sia fuori, l'aspirazione a un compromesso, a una via intermedia, attraverso la quale fosse possibile ristabilire l'unità della Chiesa. Un compromesso si tentò con l'elezione di Gregorio XII, veneziano e assai stimato; ma le trattative fra lui, troppo legato a Ladislao, e Benedetto XIII andarono per le lunghe, né parvero dover mai giungere a conclusione. Un'altra soluzione intanto si faceva strada nelle coscienze di molti, e trovava appoggio sia in Francia, specie nell'Università di Parigi, sia in Italia, ove lo strapotere di Ladislao minacciava l'esistenza di più Stati: quella di un concilio ecumenico che o costringesse i papi all'accordo o ne nominasse un altro cui tutta la cristianità avrebbe obbedito. Parecchi cardinali, dell'una e dell'altra obbedienza, aderirono a questo movimento, e fra essi principali Baldassare Cossa, legato di Bologna e futuro Giovanni XXIII, e Pietro Filargis, che si incontrarono per la prima volta a Bologna nell'aprile del 1408. Pare che soprattutto per l'attività di questi due eminenti ed ascoltati personaggi si sia arrivati, prima del giugno dello stesso anno, a una riunione a Livorno di cardinali delle due obbedienze e poi, il 25 marzo del 1409, all'apertura di un concilio in Pisa il cui scopo era quello appunto di riportare l'unità nella Chiesa. È da notare che né Gregorio XII, il papa legittimo, né Benedetto XIII riconobbero il concilio pisano e che tutti i tentativi di accordo intercorsi fra le parti prima dell'apertura del concilio fallirono; uno di questi tentativi fu condotto dal Filargis a Siena presso Gregorio XII, ma non sortì alcun effetto. Anzi Gregorio tolse all'arcivescovo di Milano tutti i benefici di cui anteriormente godeva ed anche il cardinalato.
Il 25 marzo 1409 s'aprì a Pisa il grande concilio, cui partecipavano ventidue cardinali, saliti poi a ventiquattro, ottanta vescovi e molti prelati. Pietro Filargis predicò il giorno dopo l'apertura sul brano del libro dei Giudici che dice: "Voi, figli di Israele, qui riuniti, decidete sul da farsi"; nell'energico discorso erano contenuti violenti attacchi contro i due pontefici in carica, dovuti forse a ispirazione del Cossa. Durante lo svolgimento del concilio si recò a Pisa Carlo Malatesta, signore di Rimini, a nome di Gregorio XII; s'incontrò col Filargis e, a lui che accusava il papa romano di eccessivo attaccamento al trono, rispose che erano piuttosto da rimproverare coloro i quali, per desiderio della tiara, non esitavano a straziare ancor di più la Chiesa. Evidentemente già nelle prime sedute del concilio era stata proposta la candidatura del Filargis come papa universale. Visti vani tutti i tentativi di accordo il 5 giugno 1409 il concilio pronunciò la sentenza di deposizione di Gregorio XII e di Benedetto XIII, iniziando, dopo i rituali dieci giorni, il conclave per l'elezione del nuovo papa. Il 26 giugno fu così eletto l'arcivescovo di Milano, sul nome del quale, come greco e neutrale fra i due partiti, si trovarono d'accordo sia gli Italiani che i Francesi. Col nome di Alessandro V, Pietro di Candia fu consacrato papa il 7 luglio. La sua elezione fu assai favorevolmente accolta in Francia, e specialmente nell'Università di Parigi, già accanita sostenitrice della supremazia conciliare; alla sua obbedienza aderirono anche l'Inghilterra, la Boemia, la Prussia, l'Italia centrosettentrionale, il Contado Venassino; rimasero a Gregorio XII Napoli, la Polonia, la Baviera, parte della Germania, l'Ungheria, il Friuli; a Benedetto XIII, confinato in Spagna, obbediva, oltre questa, solo la Scozia. Così, per quanto il 1° luglio A. tenesse una predica sul brano di Giovanni 10, 16, che dice: "Non vi sarà che un solo gregge e un solo pastore", vi furono ben tre greggi e tre pastori. Il primo atto del pontificato del papa greco consistette in una larghissima e criticatissima distribuzione di vescovati, grazie, benefici ad amici e clienti. Del resto, neppure il concilio rispettò i principi di riforma tante volte affermati e difesi: prima di sciogliersi, infatti, nell'agosto del 1409, ottenne la conferma di tutti i benefici e privilegi dei partecipanti; e anche di questo si mosse rimprovero ad Alessandro V. Provocò inoltre aspre critiche la bolla del 12 ottobre, con la quale il pontefice colmò di benefici i Frati Minori, il suo Ordine, scontentando così sia il clero regolare, sia l'Università di Parigi.
Urgeva tuttavia riconquistare le terre della Chiesa, che Ladislao occupava in nome del legittimo papa Gregorio XII. A. riconobbe re di Napoli Luigi II d'Angiò, figlio di Luigi I morto nel 1384, strinse una lega offensiva con lui, Firenze e tutti i Comuni toscani e scomunicò Ladislao. Indubbiamente le forze politiche ed economiche che erano a fianco di A. rappresentavano in quel momento un blocco di potenze tale da far presupporre che presto l'intera Italia e poi, gradatamente, il resto dell'Europa ancora legato agli altri pontefici si sarebbe piegato alla nuova obbedienza. Ladislao fu il primo a provare l'urto della lega; le sue brillanti conquiste s'erano sin'allora fondate più sulla debolezza e la divisione degli avversari che su una effettiva potenza militare ed economica; onde, non appena nel settembre del 1409 l'esercito della lega, di cui era a capo Malatesta Malatesta, seguito dal cardinal Cossa e da Renato d'Angiò, si pose in marcia, egli fu costretto a sgombrare le terre dello Stato della Chiesa. Il 1° ottobre le truppe alleate erano davanti a Roma, ove i soldati di Ladislao s'erano fortificati; la parte oltre il Tevere fu conquistata in pochi giorni, ma la città resistette con accanimento, cosicché fu necessario un lungo assedio, conclusosi con la resa soltanto nel gennaio del 1410.
Intanto A., lasciata Pisa ove era scoppiata la peste nel novembre del 1409, si spostava a Pistoia; quindi, dietro pressioni di Cossa, a Bologna, ove giunse il 6 gennaio 1410 stabilendosi nel monastero di S. Maria dei Crociferi. Nel frattempo, il 20 dicembre 1409, aveva condannato le dottrine eretiche di G. Wycliffe, maestro spirituale di Hus. A Bologna lo raggiunse il 12 febbraio un'ambasceria dei Romani, recandogli l'omaggio della città e supplicandolo di recarvisi. Ma A. non si mosse subito, attendendo forse che la guerra si allontanasse definitivamente dall'Urbe, e la morte fu più rapida di lui, impedendogli di giungere a Roma. Infatti egli morì il 3 maggio 1410 a Bologna e il cardinal Cossa, che gli successe col nome di Giovanni XXIII, fu accusato di averlo fatto avvelenare, un'accusa questa priva di fondamento, come tutto fa credere. A. fu sepolto nella chiesa di S. Francesco, ove il suo monumento funebre, dopo essere stato nel 1807 disperso, fu ricomposto nel 1887 e conserva ancor oggi le sue spoglie. Giacendo sul letto di morte, A. rivendicò dinanzi ai cardinali riuniti la legittimità della sua elezione e invitò i presenti a fare di tutto per raggiungere l'unità della Chiesa, per comporre la quale il concilio di Pisa lo aveva scelto. La Chiesa, però, considera A. antipapa, in quanto il concilio di Pisa non aveva né il potere di autoriunirsi, né quello di deporre il papa legittimo, né infine quello di crearne uno nuovo vivendo ancora il vecchio. fonti e bibliografia
Per le edizioni delle sue opere, cfr. F. Ehrle, Der Sentenzenkommentar Peters von Candia, des Pisaner Papstes Alexander V., Münster 1925; Petri de Candia Tractatus quatuor de Immaculata conceptione B. Mariae Virginis, Ad Claras Aquas 1954; Id., Tractatus de Immaculata Deiparae conceptione, a cura di A. Emmen, ivi 1955.
Sono da consultare tutte le opere generali dedicate allo scisma d'Occidente, prima fra tutte quella di Theodericus de Nyem, De scismate libri tres, a cura di G. Erler, Leipzig 1890; cfr. anche M. Rhenieres, ᾽Ιστορικαὶ μελέται. ῾O ἕλλην πάπαϚ ᾽ΑλεξάνδροϚ, Atene 1881; Le croniche di Giovanni Sercambi lucchese, a cura di S. Bongi, III, Roma 1892 (Fonti per la Storia d'Italia, 19-21), pp. 163-69; N. Malvezzi de' Medici, Alessandro V papa a Bologna, Bologna 1893; A. Corbellini, Appunti sull'Umanesimo in Lombardia, "Bollettino della Società Pavese di Storia Patria", 15, 1915, pp. 327-62; 16, 1916, pp. 109-69; 17, 1917, pp. 5-15; Ch.J. Hefele-H. Leclercq, Histoire des conciles d'après les documents originaux, VI, 2, Paris 1915, pp. 1341 ss.; VII, 1, ivi 1916, pp. 1 ss.; C. Santamaria, L'arma del card. Filargo (papa Alessandro V), "Rivista Araldica", 23, 1925, pp. 243-46; A. Mercati, Una fonte poco nota per la storia di Gregorio XII, "Archivio della Società Romana di Storia Patria", 50, 1927, pp. 231-38; P. Brezzi, Lo scisma d'Occidente come problema italiano, ibid., 67, 1944, pp. 391-450.
Opere recenti: G. Gualdo, Frammenti di storia veneta nei sommari di registri perduti di Alessandro V (1409-1410), in Miscellanea Gilles Gerard Meersseman, Padova 1970, pp. 397-481; N.B. Tomadakis, I greci a Milano, in Id., Miscellanea byzantina-neohellenica, Modena 1972, pp. 69-79; K. Binder, Der Pisaner Papst Alexander V. und seine Lehre von der Erbsünde, "Jahrbuch des Stiftes Klosterneuburg", 8, 1973, pp. 7-55; J.W. Frank, Die Obödienzerklärung des österreichischen Herzöge für Papst Alexander V. (1409), "Römische Historische Mitteilungen", 20, 1978, pp. 49-76; G. Chittolini, Progetti di riordinamento ecclesiastico della Toscana agli inizi del Quattrocento, "Annali della Facoltà di Scienze Politiche", 16, 1979-80, pp. 275-96;A. Tuilier, L'élection d'Alexandre V, pape grec, sujet vénitien et docteur de l'Université de Paris, "Rivista di Studi Bizantini e Slavi", 3, 1983, pp. 319-41; S.F. Brown, Peter of Candia's Hundred-Year 'History' of the Theologian's Role, "Medieval Philosophy and Theology", 1, 1991, pp. 159-90.
Dictionary of Middle Ages, a cura di J.R. Strayer, I, New York 1982, s.v., pp. 147-48; Lexikon für Theologie und Kirche, I, Freiburg 1993³, s.v., col. 370; Dizionario storico del Papato, a cura di Ph. Levillain, I, Milano 1996, s.v., pp. 30-1.